domenica 6 marzo 2016

Anatema - Occhio architettonico 1

Ho visto che i post sull’architettura hanno avuto successo e ho deciso di scriverne altri. Ogni tanto farò delle incursioni tematiche nella storia dell’architettura che affronterò in una angolazione spero un po’ diversa da quella da libro di testo e manuale di  storia dell’arte. La mia sarà l’ottica del progettista, un po’ come ho fatto nei post sull’architettura della poesia. Parlerò dell’architettura europea e occidentale come al solito.
Non ho ancora deciso se seguirò un ordine cronologico oppure se andrò a capocchia. Per il primo partirò dall’inizio o per lo meno da una delle fasi iniziali della storia dell’architettura europea. Un tema che però è davvero l’origine del più importante linguaggio dell’architettura e dell’arte in generale.

Il primo argomento che voglio trattare è il tempio greco, le sue origini, e dire qualcosa di cui non si parla molto: il significato dei suoi stilemi.
Quando si parla di tempio greco si cita il Partenone (e come non farlo?) e lo si mette nella prospettiva di tipi che, seppur più vecchi di qualche decennio, ne sono gli ascendenti diretti: i templi dell’Italia meridionale, per esempio Paestum. Il Partenone è degli anni quaranta del V° secolo a.C. il tempio di Hera a Poseidonia (nome greco di Paestum) è degli ultimi decenni del VI° secolo.
È stupefacente vedere l’evoluzione del linguaggio, in questo caso è il canone dorico, in pochi decenni.

Tempio di Era a Poseidonia



Partenone




Da lì si comincia la descrizione degli ordini greci e la loro evoluzione in quella che  è chiamata l’architettura classica. Molti ricavano la convinzione che il Partenone sia il punto d’arrivo di un lungo periodo in cui il tempio arcaico ha subito molte modifiche che l’hanno portato alla vetta del tempio di Athena Parthenos sull’Acropoli di Atene.


Be’ sembra strano ma non è così. Il tempio greco più antico è quello di Afaia (Aphaia è una divinità locale in genere assimilata ad Atena) sull’isola di Egina del 570 a.C., cioè una cinquantina d’anni più vecchio di quelli di Poseidonia. Prima la tipologia del tempio semplicemente non esisteva. Dunque c’è all’incirca lo stesso lasso temporale fra i templi di Egina e Poseidonia e fra quelli di quest’ultima e l’Acropoli di Atene.

Tempio di Era - planimetria

Partenone - planimetria
Se si volesse fare un esempio più preciso per raccontare la storia del tempio greco si dovrebbe citare, e in effetti è solitamente fatto, l’Eretteo.

Eretteo visto da sud

In origine il luogo di culto greco non è un edificio, ma un recinto sacro. Si chiama TEMENOS. Si potrebbe tradurre con ‘ ritagliato ’ perché era un pezzo di terra che era separato per mezzo di una recinzione e dedicato a una divinità e considerato il luogo in cui era possibile entrare in contatto con il Dio o la Dea. Il senso di ‘ separato e dedicato ’ è l’originario significato del termine sacro. È sacro ciò che è tolto da un insieme e diviene esclusivo per qualcuno.

Temenos di Afaia

La connotazione del temenos è di essere uno spiazzo vuoto, delimitato da una recinzione, in cui si raduna la popolazione e in cui ci sono un altare per il sacrificio, una colonna, e una bandiera.
L’officiante è rivolto a est e i fedeli sono alle sue spalle. La forma del temenos è dettata dall’orografia del territorio anche se, quando è possibile, tende ad avere una forma quadrangolare. Sull’altare è offerta in olocausto la vittima sacrificale, che probabilmente era uccisa presso la colonna, e la bandiera simboleggia la presenza della divinità come possessore del luogo e, in un’accezione esoterica, manifestazione della sua energia attraverso il vento che muove la bandiera.

Lo stesso accade per l’India, dove la bandiera si mette ancora sui templi: bianca per Shiva o Vishnu e rossa per la Devi, mentre sembra che in Grecia quest’uso sia decaduto in favore della raffigurazione statuaria della Divinità. Anche la primitiva forma di raffigurazione delle Divinità nel culto dei Romani, fino in tempi molto avanzati, erano dei pezzi di stoffa agitati dal vento.
In sanscrito con le parole vata e vayu si intende il vento come energia, come elemento Aria. A volte il termine vento e energia sono omonimi: vata, vayu e prana. Insomma l’identificazione della divinità come vento-energia è tutt’altro che grossolana. E il simbolo della presenza del Dio o della Dea attraverso l’aria, manifestata dal movimento della bandiera, è molto suggestiva e precisa.

Nel temenos non è necessario nient’altro. È la sua destinazione funzionale che ne determina gli altri caratteri: luogo di scambio (Heraion di Poseidonia), deposito di ricchezze e doni votivi (Delfi), sito oracolare (Delfi, Dodona), spazio terapeutico (Asclepieion di Epidauro). Sono solo gli esempi più conosciuti.
In ognuno di questi casi all’interno dell’area sacra o vicino al recinto sorgono degli edifici allo scopo. Fuori dal temenos, ma nei pressi ci sono le abitazioni dei sacerdoti, i magazzini o locali di preparazione se per esempio il culto è iniziatico.
Per questo citavo l’Eretteo. Nonostante l’Acropoli fu ricostruita quasi integralmente dopo la distruzione fatta dai persiani nel 480, l’Eretteo fu riedificato nella sua forma tradizionale di temenos.

Eretteo - planimetria

Esso si compone della nave del tempio, nel quale era custodita la statua più antica di Atena: un tronco di olivo. Ai lati del tempio ci sono il portico di Eretteo (il luogo della ‘contesa’ fra Atena e Poseidone, dove c’era la sacra fonte salmastra) e la Loggia delle Korai (kuroi e korai sono la più antica forma antropomorfica di divinità, in genere Ninfe, o di esseri umani del loro corteo o che li raffigurano). Ma dietro c’è ancora il muro del temenos nel quale cresceva l’olivo che la Dea donò alla città ottenendo dal re Erittonio (o Eretteo) la vittoria a patrona della città. In realtà lo era già prima: Athenai (Atene) è il plurale di Athena (Atena). È probabile che in realtà la contesa sancisse l’identificazione ufficiale fra Atena e Pallade, Dea locale della regione dell’Attica (un bel tipino: figlia di un Gigante, è da lui violentata e si vendica uccidendolo, strappandogli la pelle e facendosene una corazza).

I luoghi sacri di Creta e Micenei stavano all’interno del complesso palaziale di cui costituivano una delle tre funzioni distintive: politica, economica e religiosa appunto.

A un certo punto, e non sono ben chiare le motivazioni, all’interno del temenos si decide di erigere un tempio come dimora del Dio o della Dea a cui viene dedicato, dato in dono: anàthema, νάϑημα, come dice il titolo. Si ignora se all’inizio dentro il tempio ci fosse la statua della Divinità o se sia stata introdotta dopo.
Come la vittima era legata alla colonna per essere dedicata e uccisa (e anche nel rito vedico è così solo che alla colonna erano sostituiti due pali in croce: vi dice qualcosa?), così in seguito i doni erano appesi alle colonne del tempio.
Non è vero che all’interno del tempio non si potesse entrare. Entravano gli officianti e anche i fedeli per le offerte votive o per la deambulazione. È questa la ragione delle tre navate dei templi e dello spazio dietro la statua. Del resto in India si fa così tuttora.

I due più antichi ordini greci sono il dorico e lo ionico, che si differenziano un po’ su tutto: proporzioni, colonne, basi, capitelli ecc... Sono molto conosciuti dunque ne do solo due tavole riassuntive.

Dorico, Ionico, Corinzio

Quello che si sa meno è che i templi greci non erano in origine solo del colore del marmo utilizzato ma, come anche le statue, erano dipinti. In bianco, rosso e nero il dorico e con rosso, verde o azzurro lo ionico.
Sulle statue va detto che quelle che vediamo in marmo sono quasi sempre delle copie romane, in genere la statuaria greca classica è in bronzo fuso a cera persa. Le statue avevano occhi di vetro colorato, capelli dorati, gioielli e a volte persino vestiti.
L’aspetto che hanno oggi, e che ne accentua ‘ l’olimpicità ’ è dovuto al deterioramento dei pigmenti nel tempo e per gli agenti atmosferici.
Però la mancanza di colore ci ha consegnato gli elementi plastici essenziali che poi sono stati usati come stilemi in molti periodi successivi: dai Romani in poi e non solo in edifici ma anche per mobili e persino come scelte di decorazione.
Sarà dunque interessante vedere come stili diversi abbiano attinto a questi modelli e come abbiano trattati questi stilemi.

Una cosa va detta innanzi tutto. I templi greci sono in pietra portante. Dallo stilobate (dove appoggiano le colonne) ai muri, alle colonne, alla trabeazione tutto è in pietra piena, tagliata e scolpita in blocchi di varia forma uniti fra loro con grappe di piombo fuso. Non è una constatazione ovvia: dai Romani in poi l’elemento portante dell’edificio (tempio, chiesa, palazzo...) diventa il muro di mattoni e calce (o la volta). Alcuni elementi possono ancora essere lapidei e pieni, per esempio colonne e archi ma il sistema costruttivo è in buona misura di laterizio (ricordate però che i Romani usavano anche l’opera cementizia).
Quindi gli stilemi greci, o quelli degli ordini successivi: corinzio in età ellenistica e tuscanico, composito o rustico dai Romani in poi, sono stati usati come puri elementi di linguaggio.

Dico subito che non c’è una risposta univoca che spieghi la forma delle soluzioni architettoniche dei templi greci. Per esempio nel dorico la colonna non ha base nello ionico sì. È evidente che il capitello è un allargamento dell’appoggio della trabeazione per ridurre la luce, cosa importantissima nelle strutture in pietra (a motivo dello sforzo di taglio, chiedere a un amico ingegnere cosa significa: è quello che fa spaccare la pietra con sezioni circa verticali...), così come la rastrematura  delle colonne (più larghe in basso e più strette in alto) segue la realtà statica (sempre all’amico ingegnere: in alto sono sicuro che lo sforzo sarà simmetrico e assiale e alla base si allarga il terzo medio...), sulla trabeazione appoggia il tetto di legno (capriate e manto di copertura) e le travi (sempre e solo di legno ovviamente: la pietra ha una resistenza a flessione quasi nulla e altri materiali non ce ne sono stati fin al XIX secolo), tutto questo è chiaro. Ma la forma che prendono tutti questi elementi non dipende da considerazioni statiche.
Le due parti più differenti e su cui ci si è interrogati di più sono il capitello e la trabeazione. Appare chiaro che nel dorico il capitello assolve alla sua funzione statica e diviene bello proprio per questa sua essenzialità e natura funzionale.
Nell’ordine ionico compaiono le famose volute, più altri elementi decorativi minori (ovoli, dentelli e palmette). Nessuno sa in assoluto da cosa derivino queste spirali. Le ipotesi vanno da butti vegetali nell’arcaico capitello, che come tutto il tempio era di legno in ogni sua parte, a speculazioni esoterico-geometrico di origine orientale, da dove pare che la forma ionica arrivi in Grecia dopo la dorica.
Io formulo la mia che è incerta, ma almeno ha la stessa dignità delle altre. Credo che le volute siano la cristallizzazione dei crani dell’animale sacrificato (un ariete sembrerebbe) che erano appese in cima alla colonna e poi su tutte le colonne del tempio, questo non impedisce, tutt’altro, che le teste fossero decorate con tralci o elementi vegetali.
La trabeazione ionica è continua su due fasce, una inferiore partita in due o tre elementi orizzontali, dentellati in aggetto via via maggiore, lisce e una superiore decorata a bassorilievo. La natura della decorazione potrebbe essere la stessa anche per l’ordine dorico. La trabeazione dorica è scompartita in spazi regolari dette triglifi e metope. Sono formelle: i triglifi presentano tre scanalature verticali, le metope sono istoriate a bassorilievo.
L’ipotesi che si fa dell’alternanza fra triglifi e metope è quella di una cristallizzazione della sezione della trave della capriata, in cui le venature del legno segato sono stilizzate nelle tre scanalature, i tre glifi appunto, mentre la metopa è una chiusura del foro lasciato fra una trave e l’altra. È evidente che poi il ritmo nel tempio in pietra non segue più quello reale delle travi delle capriate. Allo stesso modo nell’ordine ionico, ma anche nei timpani, la decorazione copre delle zone vuote o irregolari nei corpi di fabbrica in legno. Poi, ripeto, il ritmo e le dimensioni hanno vita propria nella ricerca della perfezione formale dell’ordine. Dunque gli stilemi greci, a quel punto, sarebbero già stati considerati come tali. Da lì comincia la loro storia come elementi di linguaggio architettonico.