lunedì 12 febbraio 2024

Il fin amor, ovvero: il vero amor cortese

Marfisa sta combattendo con Rinaldo (e lo sta gonfiando, a proposito di patriarcato nella letteratura italiana) quando sono raggiunti da una schiera di nemici della battaglia sotto Albracà che si stanno ritirando. Puntano su Marfisa e allora Rinaldo, stimando iniquo l'attacco contro un solo avversario, si schiera con lei. Fra il gruppo degli assalitori c'è Brandimarte che però rifiuta di attaccare in così tanti un solo avversario e se ne sta da parte. La cameriera di Marfisa è distante dallo scontro in compagnia di Fiordalisa, amica di Brandimarte, e di altri due cavalieri e raccconta chi sia la sua padrona. Fiordalisa è preoccupata che Brandimarte si possa scontrare con la gagliarda Marfisa e lo va a cercare nello scontro.

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" Ma lei sol di Brandimarte va cercando,

che già de tutti li altri non ha cura;

e mentre va intorno rimirando,

vedel soletto sopra la pianura:

tratto s'era da parte allor quando

fu cominciata la battaglia dura,

che a lui parve vergogna e cosa fella

cotanta gente offender la donzella.

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Perciò stava largo a riguardare

e di vergogna avia rossa la faccia:

dei compagni se avea a vergognare,

non già di sé, che di nulla si impaccia. 

Ma come Fiordalisa ebbe a mirare,

corsegli incontro e ben stretta l'abbraccia:

già molto tempo non l'avea veduta

credea nel tutto di averla perduta.

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Egli ha sì grande e subita alllegrezza

che ogni altra cosa allor dimenticava:

né più Marfisa né Rinaldo apprezza,

né di lor guerra più si ricordava.

Il scudo e l'elmo via gettò con fretta

e mille volte la dama baciava,

stretta l'abbraccia in su quella campagna,

di ciò la dama si lamenta e lagna.

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Molto era Fiordalisa vergognosa,

ed essere vista in tal modo gli dole;

impetra adunque, questa graziosa,

da Brandimarte con dolci parole

di gir con essa ad una selva umbrosa,

dove era l'erbe fresche e le viole:

staran con gioia insieme e con diletto,

senza aver tema o di guerra sospetto.

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Prese ben presto il cavalier lo invito

e forte camminando forno giunti

dentro a un boschetto, a un bel prato fiorito

che da ogni lato è chiuso da due monti,

di fior diversi pinto e colorito,

fresco de ombre vicine e di bei fonti.

Lo ardito cavalier e la donzella

presto smontarno in sull'erba novella.

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E la donzella con dolce sembiante

comincia il cavalier a disarmare;

lui mille volte la baciò, davante

che se potesse un pezzo di arma trarre,

Nè tratte ancor e gli ebbe tutte quante

che quella abbraccia e non puote aspettare,

ma ancor di maglia e delle gambe armato

con essa in braccio si corcò sul prato.

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Stavan sì stretti quei due amanti insieme

che l'aria non potrebbe tra lor gire,

e l'un l'altro sì forte si preme

che non vi saria forza al dipartire;

come ciascun sospira e ciascun geme

di alta dolcezza non saprebbe io dire:

lor dican per me, poiché a lor tocca,

che ciascadun avea due lingue in bocca.

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Parve niente a lor il primo gioco,

tanto per la gran fretta era passato;

e nel secondo assalto entrarno al loco

che al primo scontro appena fu toccato,

sospirando di amor e a poco a poco

si fu ciascun di loro abbandonato

con la faccia soave insieme stretta,

tanto il fiato de l'un l'altro diletta.

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Sei volte ritornarno a quel danzare

prima che il lor desir ben fosse spento;

poi cominciarno dolce ragionare

dei loro affanni e passato tormento. 

Il fresco loco gli invita a posare,

perché in quel prato sospirava un vento

che sibilava tra le verdi fronde

del bel boschetto che li amanti asconde,

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e un ruscelletto di fontana viva

mormorando passava per quel prato.

Brandimarte, che stava in quella riva,

pel molto affanno in quel giorno durato,

nel pensar d'amore qui si addormiva;

E Fiordalisa, che gli era da lato,

che di guardarlo un attimo non perde,

si dormentò con lui sull'erba verde.

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Sopra dell'un dei monti che io contai

che al verde praticello era d'intorno

stava un palmier (che Dio gli doni guai!),

che dette a Brandimarte un grave scorno,

ma questo canto è stato longo assai,

e io vi contarò quest'altro giorno

(se tornate ad udir) la bella istoria,

Tutti vi guardi il Re dell'alta gloria! ".

 

Matteo Maria Boiardo, " L'innamoramento de Orlando ", 1471.

Libro I, canto XIX, ottave 55-65.

R.P.

posteris memoria mea






mercoledì 10 gennaio 2024

Angelica del Pamir

" La qual dormiva in atto tanto adorno

che pensar non si può, non che io lo scriva:

parea che l'erba a lei fiorisse intorno

e de amor ragionasse quella riva.

Quante sono ora belle e quante fòrno

nel tempo che belecia più fioriva

tale sarebon con le' qual esser sole

l'altre stelle a Diana, o lei col sole ".

 

" L'inamoramento de Orlando" 1471.

Matteo Maria Boiardo

Canto III, ottava 69

 

Angelica specifica la sua terra in canto I, ottava 52 "... tra l'India e Tartaria ... dentro al Cataio... ". Potrebbe essere il Pamir.


R.P.

posteris memoria mea
 

 

mercoledì 13 dicembre 2023

Non chiedetemi altro

 " Sessantasei volte i miei occhi

hanno contemplato l'effimero spettacolo dell'autunno.

Ho parlato abbastanza del chiaro di luna. 

Non chiedetemi altro.

Ascoltate soltanto la voce dei pini e dei cedri

quando non c'è più un alito di vento ".

     Ryonen

Hiroshige - Foglie d'acero

R.P.

posteris memoria mea

renatus in aeternim

 

giovedì 7 dicembre 2023

Turisti a Milano: le origini

Con questo post mi rivolgo a chi viene a Milano per visitare la città. Ho detto più volte che a Milano non c'è solo il Duomo ed ora vorrei segnalare i monumenti più importanti che si possono vedere nella mia città.
Milano è una città turistica, la prima dopo le tre inarrivabili: Roma, Firenze e Venezia. Lo è perché chiunque viene in Italia, una giornata a Milano la passa, ma il turismo milanese è concentrato sulla moda e lo shopping e appunto un giro superficiale dei soliti monumenti.
Lo scopo che ho è sempre quello: parlare della storia di questa città che negli ultimi decenni è stata snaturata più volte dalle immigrazioni interne e ora anche esterne. Ma soprattutto da quelle interne. Da tutta Italia sono venuti e vengono a Milano poiché in anni passati era una città che offriva opportunità di lavoro e crescita e oggi perché è spesso l'ultima spiaggia per chi non cava il ragno dal buco nel suo paese. Purtroppo mentre nelle prime immigrazioni si trattava di persone poco acculturate e dalle quali non si poteva pretendere che comprendessero la storia e la cultura milanesi, oggi lo si potrebbe pretendere dai giovani che vengono a studiare e lavorare in città, ma la situazione culturale nella quale versano le giovani generazioni è nota a tutti.
Faccio un esempio e poi lascerò questo argomento che molti riterranno polemico o razzista: lo lascerò per prima ragione perché non è di questo che voglio parlare e seconda perché sotto un certo livello di banalità non scendo, e nella banalità metteteci anche il provincialismo e il campanilismo degli immigrati.
Ecco l'esempio. Durante la II Guerra Mondiale la città di Taranto, principale porto militare italiano, fu soggetta a un terrificante bombardamento da parte degli Alleati. L'obiettivo era il porto ma distrussero anche la città. Molti tarantini furono costretti ad andarsene e altrettanti vennero a Milano. Ma la Milano che trovarono era ancora quella tradizionale, in cui si parlava il dialetto, abitata da milanesi in massima parte, insomma i nuovi arrivati impararono il dialetto e si integrarono nella loro nuova patria senza problemi. Oggi, se ne incontrate qualcuno o i loro figli, sono milanesoni, come si dice.
Nella grande migrazione interna dalle regioni meridionali verso il nord industrializzato degli anni '50 e '60 non avvenne la stessa cosa. Un po' a causa del numero: 400.000 immigrati in dieci anni, da tutte le regioni del sud, e anche perché l'industrializzazione massiccia aveva cambiato il volto e fatto sparire le tradizioni milanesi. Cosicché il milanese autentico oggi si trova come un déracinée, un immigrato nella sua stessa città. Ma basta così, chi vuole capire ha capito.

Mettiamo che arrivi un turista che abbia voglia di conoscere Milano e la sua storia attraverso i suoi monumenti e le sue pietre, bene, voglio fare un esempio semplice su come si può visitare questa città, con quale spirito.

Partiamo con un po' di storia, giusto per raccontare come è nata la città. Do per scontato che il turista sappia dove Milano si trova in Italia, che sappia dov'è la regione Lombardia. Se è straniero potrà procurarsi una cartina geografica e dico solo che la Lombardia è un territorio che dal punto di vista storico e geografico appartiene alle regioni nord-occidentali.
Allora, il luogo dove poi sorse Milano è un vago declivio che al centro segna quasi 130 m sul livello del mare e alla periferia un po' più di 110 m s.l.m. Una differenza di altezza di meno di venti metri, dunque di fatto pianeggiante, ma rilevato dal resto della pianura circostante.
I confini naturali della zona sono i due fiumi Adda a est e Ticino a ovest, le colline brianzole a nord e l'impaludamento del Lambro a sud, prima di arrivare a Pavia e al Po.
Tutta la Pianura Padana era coperta da un'immensa foresta di querce, di farnie per la precisione, intervallate da paludi presso i fiumi, soprattutto man mano che ci si avvicinava al Po. La Pianura Padana occidentale è più asciutta di quella orientale dove le paludi erano molto più estese.
In epoca preistorica la popolazione era composta da gente che era arrivata in pianura seguendo i fiumi (come si dice: venuti giù con la piena) e lo stanziamento progressivo di popolazioni che oggi conosciamo come Liguri. Questa era la popolazione della Pianura Padana occidentale. Ci si riferisce alla civiltà detta di Golasecca, dalla località sul Ticino.
Intorno al VII-VI secolo a.c. si ha la prima migrazione di Celti in Italia che si stanziano in alcuni punti della Pianura Padana. Proprio per la sua posizione rilevata si formò un primo insediamento nella zona della futura Milano. Questo insediamento potrebbe già aver avuto il carattere del nome della città che dunque esisteva in fieri. Nella stesa zona erano presenti insediamenti etruschi (Melzo e Bergamo) e ci passava qualche mercante greco che arrivava dal delta del Po.
I Celti sono un popolo indoeuropeo che dalla zona d'origine (fra il Mar Nero e il Mar Caspio) risalì il Danubio e colonizzò tutta l'Europa fino alle isole britanniche. Appunto intorno al VI scolo a.c. scesero anche nella penisola italiana, presumibilmente provenendo dalla Francia centrale, attraverso la Val d'Ossola. Ovviamente non si possono escludere anche altri itinerari.
Dopo questa fase gli abitanti della Pianura Padana occidentale prendono il nome di celto-liguri.
Intorno alla metà del IV sec. a.c. avvenne una seconda discesa in Italia di Celti. La storia è raccontata così.
Sempre nella foresta della Francia centrale, nella tribù dei Biturigi si decide che debba partire una spedizione per colonizzare nuove terre. La missione è diretta da due comandanti, fratelli,  di nome Belloveso e Segoveso, nipoti del re Ambigato.
Il metodo è di liberare un cinghiale e seguirlo fino alla terra fatale.

La "scrofa semilanuta "

Così fanno, ma  a un certo punto i due fratelli decidono di separarsi: Segoveso continua sulle Alpi e arriva alla Foresta Nera in Germania, Belloveso passa le Alpi e scende nella penisola italiana. L'oracolo aveva prescritto di fermarsi laddove avessero trovato altri Celti già presenti. Il cinghiale fa il suo dovere e arrivano nel luogo in cui oggi sorge Milano.
Quella che fondano è una strana città.
Fra  due fiumi: Nirone e Seveso. A cavallo del Nirone fondano due parti distinte: a ovest l'insediamento urbano vero e proprio e a est un medhelan.


Che cos'è un medhelan? La parola significa “ terra di mezzo ” o “terra che sta in mezzo” o “terra centrale”. È un bosco sacro con al centro una radura di forma ovale. In questo bosco si svolgono le riunioni delle tribù e i culti sacri. È un luogo sacro, un temenos, per dirlo alla greca.
Dall'altra parte del Nirone sorge la città.

Si diceva che per il suo carattere sacro non temesse aggressioni e dunque non aveva mura difensive, solo la protezione simbolica, apotropaica, di siepi della sua pianta sacra: il biancospino. Perciò i Romani chiamarono poi la città con il nome di Spinalba o Alba cioè “ la Bianca ”. I Celti la chiamavano con il nome di Medhelanon poiché era stata fondata come città sacra e comune ai Celti d'Italia.

Lo spiazzo del medhelan aveva il centro dove ora è piazza della Scala e giungeva fino all'attuale piazza del Duomo. Spinalba era dove oggi c'è la piazza dei Mercanti, centro geometrico della città medievale. Insediamenti golasecchiani c'erano nell'attuale Cordusio e dove sorgerà il Palazzo Ducale oggi Reale. I luoghi fatali di Milano ci sono già.

Belloveso e i suoi si fermarono nel territorio della tribù celtica degli Insubri. Tribù già celto-ligure, non grande come territorio ma possiamo pensare con un ruolo di tipo sacrale visto che nella sua zona fu fondata la città delle adunanze dei Celti italici.
Quando i Romani dopo la vittoria di Clastidium, odierna Casteggio nell'Oltrepo pavese, presero il controllo della Lombardia, eressero il loro castro, che si trasformò in città, vicino ad Alba: il foro era l'attuale piazza del Santo Sepolcro dove, oltre alla chiesa omonima, c'è l'importantissima biblioteca Ambrosiana.
Nasceva così Mediolanum.
Adesso il turista sa come venne alla luce la città di Milano... e non si è ancora spostato in pratica da piazza del Duomo!
I luoghi magici della nascita di Milano non esistono più, se non in scavi che si svolgono durante lavori o nelle cantine dei palazzi di quella zona, o nei musei archeologici del Castello o di corso Magenta, ma se arrivate a Milano pensando che al posto della Galleria e dove adesso c'è il Teatro alla Scala, c'era il bosco sacro dei Celti e in piazza dei Mercanti e in via Orefici o al posto della Biblioteca Ambrosiana c'era Spinalba, sentirete un brivido che viene dai recessi della terra sacra su cui sorse Milano. 

R.P.

posteris memoria mea

renatus in aeternum